Affari nostri, diritti umani e rapporti Italia Argentina 1976-1983, Roma, Fandango, 2012
a cura di Claudio Tognonato
Silenzi, complicità e affari
Prefazione di Claudio Tognonato
Furono
otto
lunghi
anni
di
denso
e
quotidiano
terrore,
tra
il
1976
e
il
1983.
Migliaia
di
chilometri,
decine
di
anni
ci
separano
dai
fatti.
Sono
vicende
storiche,
eppure
sono
storia
viva.
Resistono
perché
i
desaparecidos
lasciano
dietro
di
sé un vuoto,
lasciano
quella
forma
di
presenza
di
ciò che
manca.
Quel
passato,
apparentemente
lontano,
resta
presente,
immobile,
non
passa.
Sono
molti
ad
avvertire
questa
mancanza:
i
familiari
delle
vittime,
i
superstiti
e
una
società
che
ha
perso
la
paura
e
non
vuole
più
chiudere
gli
occhi.
La
conseguenza
è
un
punto
di
non
ritorno,
un
Nunca
más,
un
Mai
più
indispensabile
per
ristabilire
la
consapevolezza
del
valore
dei
diritti
umani.
Anche
se
in
Argentina
il
regime
ha
fatto
sparire
nel
silenzio
migliaia
di
persone,
la
magistratura
in
qualche
caso
è
riuscita,
con
grande
difficoltà,
a
raccogliere
le
prove
e
condannare
i
responsabili.
I
desaparecidos
sono
però
30.000
e
molti
torturatori
e
assassini
sono
rimasti
liberi
e
impuniti.
In
Italia
alcuni
militari
argentini
sono
stati
processati
e
condannati
per
crimini
commessi
nei
confronti
di
cittadini
italiani,
in
quel
periodo
l’azione
della
magistratura
argentina
era
ostacolata
da
uno
stato
di
eccezione
che
bloccava
i
processi.
Le
sentenze
dei
nostri
tribunali
hanno
anche
contribuito
alla
costruzione
dell’unanime
condanna
internazionale
e
all’elaborazione
della
nozione
di
crimini
di
lesa
umanità,
in
quanto
delitti
che
offendono
l’intero
genere
umano.
Delitti
la
cui
gravità
non
conosce
frontiere,
non
ha
un
limite
di
giurisdizione
né
di
prescrizione.
Nessuno
però
è
stato
imprigionato,
tutti
sono
stati
processati
e
condannati
in
contumacia.
Nel
frattempo,
il
governo
di Néstor
Kirchner
nel
2003
derogava
le
leggi
di
Punto
final
(1986)
e
di
Obediencia
debida
(1987)
norme
che
impedivano
i
processi.
Da
allora,
molte
cause
sono
arrivate
a
sentenza,
altre
sono
in
corso
e
l’incessante
apertura
di
nuove
istanze
indica
quanto
sia
ancora
attuale
il
desiderio
di
giustizia.
Questo
lavoro
vuole
andare
oltre
le
condanne
ai
diretti
responsabili
dei
singoli
delitti.
Ora
è
tempo
di
capire
fino
in
fondo
come
tutto
ciò
sia
stato
possibile.
La denuncia
delle
violazioni
dei
diritti
umani
si
è
concentrata
sui
loro
autori
materiali:
militari
e
paramilitari,
la
cui
azione
non
avrebbe
potuto
svolgersi
indisturbata
se
non
fosse
stata
favorita
da
alcuni
settori
della
società.
Ci
siamo
domandati:
cosa
accadeva
in
Italia
mentre
l’Argentina
sprofondava
nel
buio
della
dittatura
militare?
Come
furono
i
rapporti
tra
la
nostra
democrazia
e
quel
regime,
ormai
definito
dalla
comunità
internazionale
come
uno
dei
più
spietati
del
ventesimo
secolo?
La
nostra
società
e
la
classe
politica
erano
informate
di
quanto
stava
accadendo
in
Argentina?
Reagivano?
Come
erano
i
nostri
rapporti
commerciali
ed
economici
con
i
militari?
E
le
nostre
istituzioni,
si
sono
date
da
fare
per
difendere
l’integrità
fisica
dei
desaparecidos
di
origine
italiana,
emigrati
o
figli
di
emigrati?
In
breve,
il
nostro
obiettivo
è
stato
quello
di
analizzare
le
dinamiche
dei
rapporti
tra
Stati,
in
presenza
di
violazioni
sistematiche
dei
diritti
umani
in
atto in
uno
di
essi.
Capire
processi
storici,
protagonisti,
complici,
strutture
politiche
ed
economiche
che
hanno
reso
possibile
il
protrarsi
di
quel
silenzio
che
permise
ai
militari
argentini
di
perpetrare
una
sistematica
e
quotidiana
violazione
dei
diritti
umani.
Nel
nostro
caso
concreto,
l’obiettivo
riguarda
la
ricostruzione
della
realtà
dei
rapporti
italo-argentini
nel
periodo
della
dittatura.
A
volte
la
difesa
dei
diritti
umani
resta
una
dichiarazione
sulla
carta.
Accade
che
i
diritti
sono
in
primo
piano
finché
non
entrano
in
conflitto
con
interessi
forti,
economici
o
politici.
In
questi
casi
le
norme
si
ripiegano,
diventano
una
mera
enunciazione
formale
che
decade
di
fronte
alla
legge
della
realpolitik.
Chi
si
oppone
a
questa
logica
è
considerato
un
ingenuo,
una
persona
poco
realista, un
utopista.
Lo
studio
del
caso
argentino
è
emblematico
per
la
vastità,
efferatezza
e
durata
della
violazione.
La
scomparsa
di
migliaia
di
corpi
gettati
vivi
in
mezzo
al
mare,
i
campi
di
concentramento
e
sterminio
diffusi
in
tutto
il
territorio,
l’uso
sistematico
e
programmato
della
tortura
fanno
riferimento
ad
un
piano
preciso
che
va
oltre
l’eliminazione
degli
avversari.
I
desaparecidos
sono
parte
di
una
tecnica
che
pretendeva
annullare
il
passato
e
riscrivere
la
storia.
Nella
loro
spietata
repressione
non
vi
erano
azioni
clamorose,
si
agiva
di
notte, gruppi
anonimi
in
borghese
sequestravano
i
dissidenti
o
presunti
tali.
Poi
il
nulla
assoluto.
Le
vittime
non
finivano
in
carcere,
non
vi
erano
processi
né
condanne
a
morte,
non
si
fucilava,
non
si
imprigionava.
I
desaparecidos
erano
smistati
nei
campi
di
concentramento
disseminati
in
tutto
il
paese.
Qui
erano
torturati
e
poi
“trasferiti”,
cioè
eliminati.
Spesso
i
gerarchi
della
Giunta
si
facevano
vedere
in
chiesa,
insieme
ai
vertici
della
curia.
I
militari
argentini
curavano
molto
la
loro
immagine.
Si
preoccupavano
per
apparire
come
i
garanti
dell’ordine
e
della
riorganizzazione
del
paese.
Dichiaravano
che
la
loro era
una
crociata
in
difesa
del
modello
occidentale
e
cristiano.
Avevano
paura
di
essere
scoperti,
erano
preoccupati
da
una
eventuale
condanna
internazionale
perché
il
loro
progetto
prevedeva
un
lavoro
lungo,
quotidiano
e
lento,
ma
inesorabile.
Per
rendere
più
efficace
l’occultamento
delle
loro
azioni
si
sono
affidati
a
specialisti
che
hanno
organizzato
diverse
campagne
di
propaganda
per
contrastare
ciò
che
per
molti
costituiva
già
un’evidenza.
Poi
i
campionati
mondiali
di
calcio
nel
1978
furono
un’opportunità
per
guadagnare
tempo,
ripulire
l’immagine
internazionale
e
catturare
simpatie
interne
attraverso
il
nazionalismo
del
pallone.
A
Parigi
è
stato
creato
un
Centro
Piloto
destinato
a
contrastare
la
campaña
anti-argentina
infiltrandosi
perfino
nei
gruppi
che
denunciavano
quanto
stava
accadendo.
Questa
preoccupazione
dimostra
che
anche
loro,
pur
disponendo
a
piacere
della
vita
e
della
morte,
avevano
un
grande
bisogno
di
consenso.
Cosa
sarebbe
successo
se
il
regime
fosse
stato
accerchiato
dalla
condanna
della
comunità
internazionale?
L’importanza
dei
legami
di
sangue,
culturali,
commerciali
ed
economici
tra
l’Italia
e
l’Argentina
apre
una
interrogativo
che
ci
riguarda.
Cosa
ha
fatto
in
quegli
anni
il
nostro
paese?
Certamente
poco.
I
nostri
interessi
economici
continuarono
a
fare
affari,
forse
i
nostri
politici
non
hanno
capito
cosa
stava
accadendo.
L’Italia
non
ha
mai
concesso
rifugio
politico
a
nessun
esule
argentino. L’ambasciata
a
Buenos
Aires
chiuse
le
porte
per
evitare
ciò
che
era
successo
nel
vicino
Cile.
Nel
nostro
paese sono
gli
anni
d’oro
della
Loggia
P2.
Licio
Gelli
aveva
costruito
il
proprio
potere
intrecciando
interessi
italiani
e
argentini,
prima
con
Perón
e
López
Rega,
poi
con
Massera
e
la
dittatura.
La
Commissione
parlamentare
che
indagò
sulla
Loggia
massonica
segnalò
la
necessità
di
approfondire
i
rapporti
internazionali
della
Loggia.
Noi,
consapevoli
dell’enorme
difficoltà,
abbiamo
accettato
la
sfida
e
abbiamo
cercato
di
fare
qualche
passo
in
quella
direzione.
In
queste
pagine
più
che
un
lavoro
concluso
si
è voluto
trasmettere
un
invito
a
proseguire. Il
libro
affronta
la
tematica
da
diversi
punti
di
vista.
Alcuni
di
noi
sono
stati protagonisti
e
hanno
vissuto
ciò
che
raccontano,
altri
hanno
studiato
con
passione
le
vicende
dei
desaparecidos
da
diverse
angolature:
storia,
letteratura,
economia,
politica,
sociologia.
Questo
volume
nasce da
una
ricerca
a
cui
hanno
partecipato
diverse
università
argentine
e
italiane.
Affari
nostri sono
le
prime
conclusioni
del
gruppo
di
lavoro
italiano.
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